
DIARIO CAMBOGIANO
Appena rientrata da un viaggio in Cambogia, non riesco a smettere di pensare ai colori, alla bellezza e alla natura di questo Paese.
Partivo con il desiderio di ammirare le rovine di Angkor, una sorta di Santo Graal per i viaggiatori, così come può essere Petra o Machu Picchu. In realtà c’è molto altro in questo Paese che incarna perfettamente l’anima del Sud Est Asiatico. Appena arrivati ci si immerge subito nel suo caos, nei motorini e tuk tuk che sfrecciano da ogni lato, nelle bancarelle colorate, nello street food, nelle tuniche accese dei monaci.
La capitale Phnom Penh mi è apparsa da subito vivace, con la sua vita notturna, i grattacieli e le luci del Palazzo Reale che si riflettono nelle acque lente del Mekong, che proprio qui si unisce al Tonle Sap. Non ho potuto fare a meno che effettuare una navigazione sul leggendario Mekong, ammirare il tramonto e vedere la città che pian piano si illumina.
Lasciata Phnom Penh, ho attraversato la campagna cambogiana, fatta di risaie, case in legno, piantagioni di loto e le magre mucche locali che brucano l’erba tranquille. Sono quindi giunta a Siem Reap, porta di accesso del regno Khmer. Il centro, attraversato dall’omonimo fiume, brulica di bar, ristoranti e mercatini ed il fulcro è l’animata Pub Street.
Da qui non si può che partire alla volta dell’esplorazione di Angkor, un vero e proprio spettacolo per gli occhi. Vedere l’alba che illumina un po’ alla volta le guglie di Angkor Wat è qualcosa di indescrivibile; un’immagine che non credo riuscirò mai a dimenticare. Il sito di Angkor è un complesso enorme da visitare coi giusti ritmi, perdendosi nei suoi angoli e ammirando la bellezza dei suoi bassorilievi. Ovviamente non ho visto tutti i templi, avrei avuto bisogno di molto più tempo. Oltre ad Angkor Wat, al Bayon con le sue facce giganti sorridenti e al Ta Prohm inghiottito dalla natura, mi sono avventurata nell’enorme Preah Khan, anch’esso immerso nella vegetazione o il Baphuon con le sue ripide scalinate che permettono di ammirare il panorama. Dopo aver attraversato un lago artificiale cosparso di fiori di loto ho raggiunto il piccolo Neak Pean. Altre scale mi hanno portato alla sommità dei templi montagna di Pre Rup e East Mebon. Infine, non poteva mancare la “fortezza delle donne” di Banteay Srei, costruita in arenaria rossa e con bellissime sculture e bassorilievi, forse i più belli fra tutti i templi Khmer.
Lascio le rovine di Angkor, per raggiungere gli scenari unici del lago Tonle Sap e delle sue case galleggianti, costruite su traballanti pali di legno. Nel villaggio di Kampong Phluk vengo accolta da una moltitudine di bambini che si divertono con giocattoli improvvisati fatti con materiali di riciclo. Sembra quasi un tuffo nel passato. Da qui si continua con un tour in barca tra le mangrovie, in attesa del tramonto che infiamma le acque del lago.
Ultima tappa del mio viaggio è Battambang, il centro ha un fascino un po’ decadente, con case coloniali in stile francese. Vicino alla città visito il piccolo Wat Banan, situato su una collina che si raggiunge con più di trecento ripidi gradini. È bello fermarsi qui nella tranquillità, fra i resti un po’ abbandonati e immersi nella natura. Ultima tappa è la simpatica esperienza del bambù train, che dà sostentamento alla comunità locale.
Il mio viaggio cambogiano volge al termine, oltre alla bellezza del Paese e dei suoi abitanti, un’esperienza sicuramente da provare è il cibo locale. Il pesce Amok dal gusto di citronella; il pineapple fried rice o ancora il pollo con anacardi e mango daranno un sapore unico al vostro viaggio, ovviamente accompagnati dalla mitica birra Angkor.